Nessuna scusante per Borrelli,
Palazzi e giornalisti
Redazione
Mercoledì 29 Dicembre 2010 00:11
La verità è un'altra, è diversa da
quella che tanti giornalisti riferiscono, quando non la occultano
non parlandone. Visto che al grande e numeroso pubblico dei grandi
media viene data un'informazione parziale, chiediamo ad ogni nostro
lettore di diffondere questo articolo che fa luce su una verità
nascosta. Siamo costretti a ricorrere al "passa parola" da un
giornalismo che, nel video allegato, Piero Ostellino
fotografa alla perfezione. Parliamo di fatti e mostriamo le prove,
da quattro anni sotto gli occhi di chiunque voglia vedere e sapere. Buccheri su La Stampa, dopo la
deposizione di Bergamo resa a Palazzi, scrive che "Bergamo,
oggi, dice di provare «profonda tristezza»", noi invece
proviamo una profonda rabbia.
I media possono anche tacere e non ergersi ad "orientatori" del
sentimento popolare e dichiararsene i portavoce, possono anche non
fare i titoli a tutta pagina e relegare la notizia
dell'interrogatorio di Bergamo in spazi dimensione francobollo su
pagine "molto interne", come ha fatto la Gazzetta, ma un sentimento
popolare c'è, ed è forte, in tutte le tifoserie delle squadre punite
nel 2006, mentre gli sleali "furbetti del palloncino"
tacevano i loro contatti e stavano zitti zitti in coperta a contare
il ricavato dalle punizioni altrui. Siamo incazzati neri
e non siamo disponibili a sopportare i tentativi di giustificare le
mancanze della giustizia sportiva della FIGC nelle indagini. Non ci
sono giustificazioni per Borrelli, per D'Andrea, per gli 007 del
2006, non ce ne sono per Palazzi. Non ce ne sono non perché siamo
offuscati dalla rabbia, anzi, dal 2006 siamo più lucidi e svegli di
investigatori iperlodati dalla stampa, colpevole a sua volta, come
dimostreremo. Non ci sono scuse credibili perché lo dicono le carte
che la FIGC ha avuto in mano nel 2006, che noi abbiamo letto
attentamente mentre gli 007 federali sembra non l'abbiano fatto:
perché se lo avessero fatto avrebbero dovuto dar credito alle parole
di Paolo Bergamo.
Lo scorso aprile, grazie al lavoro di Alvaro Moretti
di Tuttosport, veniamo a conoscenza del
contenuto del verbale di Paolo Bergamo, interrogato l'8
giugno 2006 dai vice capo D'Andrea e
De Feo, unitamente ai collaboratori
Quartarone e Ricciardi.
Paolo Bergamo viene interrogato per 9 ore e fa mettere a verbale che
"Non ho mai negato di parlare della probabile formazione della
griglia, che comunque dovevo confrontare con Pairetto, anche con
tutti gli altri dirigenti di società che me ne avessero fatto
richiesta. Questa consuetudine di parlare della griglia o di quegli
arbitri che potevano andare nella griglia, ribadisco, ce l’avevo
anche con altri dirigenti (tra gli altri Facchetti, Meani, Capello,
Sacchi). Non so dire se Pairetto si confrontava con altri su questi
temi. E preciso che la conoscenza della griglia era il 'segreto di
Pulcinella' in quanto gli arbitri erano certamente individuabili per
gli addetti ai lavori", come potete vedere nella foto di un
parziale del verbale.
Buccheri scrive che "allora, il teste non era
attendibile perché quando raccontò che parlava con tutti, Inter
compresa, le sue parole non potevano trovare riscontro nelle
intercettazioni", ed aggiunge che "gli investigatori
federali hanno più volte voluto sottolineare all'ex designatore e al
suo avvocato Silvia Morescanti come non fossero stati loro a
condurre materialmente le indagini nel 2006".
Secondo Tuttosport Bergamo avrebbe detto a
Palazzi: "Io queste cose già le avevo dette nel 2006", ed
avrebbe ricevuto in risposta: "Non avevamo le
telefonate".
Non attacca, non ci sono scusanti! Non si vive di sole
intercettazioni quando si indaga, balle spaziali che non c'era
riscontro alle dichiarazioni di Bergamo, perché Borrelli
ed i suoi collaboratori avevano le informative che l'ex magistrato
era andato a ritirare nella sua "gita a Napoli",
dove gli furono date su CD senza che ne avesse fatto regolare
richiesta scritta e senza che avesse ancora firmato nulla, come
ammetterà il 14 settembre 2006 davanti alla
Commissione Giustizia del Senato.
Noi abbiamo potuto verificare solo lo scorso aprile cosa aveva
dichiarato Paolo Bergamo, ma quando dichiarò le
stesse cose, sempre l'8 giugno 2006, a 'Matrix' ed in un'intervista
concessa a Repubblica, gli abbiamo creduto, e non
perché ci stesse simpatico o ci facesse comodo, gli abbiamo creduto
perché avevamo letto quelle informative fatte fuggire verso le
redazioni dei media.
E cosa c'era scritto nelle informative firmate Auricchio, architrave
del processo sportivo e delle condanne? Questo c'era scritto:
Lo aveva scritto Auricchio, non ju29ro. Il colonnello della Guardia
di Finanza Maurizio D'Andrea non aveva letto quelle
due pagine delle informative?
Non le avevano lette neppure De Feo,
Quartarone e Ricciardi?
Non le aveva lette neppure la superpoliziotta Maria José
Falcicchia, vice questore aggiunto della Polizia di Stato,
nominata vice di Borrelli, insieme a D'Andrea, dal commissario Guido
Rossi?
Non le aveva lette nessuno degli
007 federali che indagavano ed interrogavano in quei
giorni? Nessuno aveva notato e fatto notare cosa c'era scritto in
quelle due pagine?
Non le aveva lette neppure Borrelli?
Bastava chiedere alla Procura di Napoli, che si era rivelata tanto
disponibile, i files audio delle telefonate dell'Inter la cui
esistenza emergeva da quelle informative.
Si potevano e dovevano interrogare i dirigenti interisti e quanti
Bergamo aveva indicato nel suo interrogatorio.
E badate bene, l'Ufficio Indagini aveva le carte inviate dalla
Procura di Torino, dove erano riportate due telefonate
Facchetti-Pairetto che dimostravano come anche l'Inter
telefonasse ai designatori. Due telefonate riportate a maggio 2006
da La Stampa, Corriere della Sera e Gazzetta!
Maurizio D'Andrea e la Falcicchia (articolo
di Repubblica) sono in gamba e furono scelti da Borrelli come
vice. Federico Maurizio D'Andrea a febbraio 2007 ottiene una carica
importantissima in Telecom, dove Guido Rossi era tornato dal
settembre 2006. Come hanno fatto a non vedere quelle tracce?
Borrelli chiude la sua relazione a Palazzi scrivendo che "i
plurimi filoni investigativi che sin da ora emergono e che vieppiù
emergeranno nel prosieguo non permettono di ritenere conclusa
l’opera di individuazione delle responsabilità eventualmente
attribuibili ad altre società e ad altre persone fisiche", però
non continua ad indagare, passa ad occuparsi dei
diritti tv.
E Palazzi? Neppure lui ha letto quelle due pagine?
E quando diventa Superprocuratore, e responsabile anche della fase
investigativa, perché non sente il dovere di seguire il consiglio di
Borrelli e non indaga su quanto emergeva in quelle due pagine?
Perché, se avesse letto quelle due pagine, non sente il dovere di
chiedere tutte le telefonate quando la FIGC si costituisce parte
civile a dicembre 2007?
In molti in FIGC avrebbero dovuto sentire il dovere di rassegnare le
dimissioni, come
abbiamo scritto da tempo.
Buccheri termina il suo articolo scrivendo "La prima audizione
del secondo filone è durata ben cinque ore fra gli imbarazzi di chi
ha voluto sottolineare che nel 2006 gli strumenti a disposizione
erano diversi". Non hanno scusanti, e non ci stiamo ad essere presi in giro!
Ed i giornalisti che da quattro anni sentiamo parlare di
Calciopoli sui giornali ed in tv, neppure loro hanno letto quelle
informative?
Escludendo la malafede, allora dobbiamo pensare che non abbiano
letto quelle informative e informino senza prima informarsi. Tanti
di loro hanno messo la mano sul fuoco sicuri che "l'Inter non
telefonava".
Di quelle due pagine, delle tracce che anche l'Inter andava a cena
da Bergamo (incontri in luoghi non pubblici, nella sentenza) e che
parlava con i designatori, parlarono da subito gli utenti del forum
J1897.com, con una discussione rimasta in prima pagina per mesi.
Molti giornalisti leggevano quel forum, ma hanno fatto finta di non
vedere. La prova che consultavano quel forum la avemmo
quando riportarono il topic, aperto dall'utente "Brindellonemai",
che diffondeva il ricorso di Zaccone. Ma i giornalisti applicarono
gli stessi criteri di selezione di Auricchio: "L'Inter non
interessa".
Un solo giornalista ne parlò, seppure solo il 4 ottobre 2006,
Corrado Zunino su Repubblica: "Quella cena con
Bergamo e la telefonata col patron. Sì, con i designatori
dell'ancien régime è andata a cena anche l'Inter. [...] Lo rivela
l'ascolto attento dell'intercettazione numero 15.237 realizzata dai
carabinieri del nucleo operativo di Roma, la famosa inchiesta
Off-Side. [...] C'è anche una chiamata che riguarda Massimo Moratti.
Una, e non è diretta. Paolo Bergamo racconta, sempre alla Fazi, del
colloquio avuto con il patron dell'Inter. E' la sera del 29 marzo
2005". Solo Zunino, e quattro mesi dopo, ha letto quelle
informative?
Ponete questa domanda, in futuro, a qualsiasi giornalista dovesse
continuare a sparare "balle spaziali" su Calciopoli.
La giustizia sportiva ha un solo modo per scusarsi: fare giustizia
totale e non parziale come avvenuto nel 2006. Giustizia non vuol
dire che erano "Tutti colpevoli, qualcuno ci è sfuggito ed ora il
caso è prescritto", come sembra essere l'orientamento.
Giustizia vera sarebbe rivedere quel processo alla luce di tutto
quello che è emerso. Sarebbe un atto di dignità se lo proponesse
proprio la Procura Federale.
I giornalisti dovrebbero scusarsi delle tante distrazioni del 2006,
ma non ammetteranno i loro errori. Un consiglio a chi temerariamente
continua a seminare inesattezze, e si espone a brutte figure, lo
vogliamo dare: studiare le informative e gli atti del processo di
Napoli e parlare solo dopo averlo fatto. Tacere è
meglio che informare male i propri lettori e telespettatori.
Video: L'avvocato D'Onofrio (video
dal minuto 4:25) spiega a chi "o è incompetente o è in
malafede", e chiede "Ma qualcuno le ha lette le sentenze
sportive? Sapete perché si arriva a quel sistema sanzionatorio?".
Sembra che le abbiano lette davvero in pochi.
Sulla situazione del giornalismo italiano e su quanto avvenuto con
Calciopoli è da ascoltare con attenzione l'autorevole parere di
Piero Ostellino:
clicca per vedere il video.
Deposizione spontanea dell'arbitro Bertini:
«Mi scuso se non sarò chiaro o se avrò difficoltà comunicative, ci
tenevo a dire alcune cose importanti. Volevo rimarcare: sono un
arbitro di calcio da una vita, oggi a 46 anni sono ancora un
arbitro. In questa vita ho rispettato regole scritte nel regolamento
e quelle non scritte tramandate da mio padre arbitro e dall'Aia. Io
sono stato ligio a questo atteggiamento. Non ho mai fatto parte di
alcuna associazione a delinquere, mi è suonato alieno essere
accostato ad una fattispecie così. Potevo essere associato a una non
associazione: ogni partita si è sottoposti a critiche, i club sono
sempre scontenti. Ogni gara si crea una non associazione: anche con
Moggi e la Juve era una non associazione perché anche la Juve così
come tutte le squadre arbitrate sono state scontente del mio operato
e di altri. Perché è normale sbagliare: l'arbitro va in campo e
sbaglia, a volte non sbaglia ed è criticato lo stesso, spesso
ingiustamente. L'errore dell'arbitro è tanto più rimarcato se messo
in comparazione con le immagini tv, quella è un'altra partita,
un'altra realtà: l'arbitro non potrà mai essere comparato con un
sistema elettronico di 30 telecamere. Quindi io ho sbagliato, ma
l'ho fatto ovviamente pensando di fare bene, all'istante, non per
svantaggiare o avvantaggiare qualcuno. L'ho fatto anche contro la
Juve. Anche a favore e contro le squadre in competizione con la
Juve. Quando mi hanno accusato non s'è preso in considerazione che
nel 2004-2005 per aver arbitrato 5 partite, 3 delle quali della
Juventus, la Juve con me ebbe una media punti inferiore del
campionato, con me meno punti che con gli arbitri qui. Con me il
Milan, il competitore, ottenne più punti della Juve e più punti
della sua media punti. Per essere uno dell'associazione ci sono dati
che non tornano. Nella gara denominata partita regina di tutte le
partite, Juve-Milan: voglio rimarcare (ho rivisto 15 volte quella
gara, non mi dò pace) fu una partita arbitrata assolutamente bene.
Lo dissero gli osservatori, qualche critico più oggettivo di altri.
In quella gara ci sono dati oggettivi: 23 volte ho arbitrato in
quella stagione, ho comminato 35 ammonizioni per squadra di casa e
41 per quella in trasferta, una media di ammonizioni di 1,52 per la
squadra di casa e 1,78 per gli ospiti. Punizioni fischiati sono
stati 449 a favore di squadra 437 per gli ospiti: equilibrio
marcato. Questi sono dati ufficiali forniti alla Figc. Ho fischiato
4 rigori: 2 e 2 e 3 espulsioni. In Juventus-Milan una media di falli
fischiati 42, 15 per la Juve, 27 per il Milan: un solo ammonito,
contro la Juve. Uno scostamento rispetto alla media di 4,5 falli in
meno alla Juve rispetto alla media e +8 per gli ospiti in quella
partita. Io ho solo questo e le risultanze degli osservatori per
confutare questa accusa: l'osservatore fu soddisfatto, commisi
l'errore di fermare Kakà che subì un fallo con ammonizione perché
era un fallo duro e invece Kakà poteva continuare a giocare. Fermai
per un mancato vantaggio al Milan: questo è l'errore umano in quella
partita. Per Inter-Fiorentina le ammonizioni di due giocatori viola
che non giocarono contro la Juve: nel processo sportivo l'accusa di
Borrelli, sentito da lui, portai il filmato della gara e facendo
vedere che quella gara che le ammonizioni non potevano non essere
comminate. Ho rivisto poi la gara e il tema dell'accusa: i giocatori
viola diffidati erano tre e Dainelli commise cinque falli e non lo
ammonii e quello fu un errore. Sulle altre gare ho dati simili. Io
in quel campionato ho commesso molti errori, ma il più importante
l'ho commesso con l'assistente durante Atalanta-Milan: era nello
stesso giorno di Roma-Juve, in quella gara non ho espulso Nesta per
fallo da ultimo uomo. Era un contropiede, ero a 50 metri dal fallo e
il mio assistente non prese provvedimento, non mi aiutò: quella
partita era sull'1-1, avrei dovuto lasciare il Milan in 10 e poteva
decidere il campionato, avvantaggiai il Milan che al 94' segnò
vincendo. Ho subito critiche enormi: venni massacrato, anche da
Moggi sui giornali. Nell'arbitraggio non potrò più fare errori, ne
ho fatti tanti. Qui mia controparte la Figc che mi ha assolto nei
due processi sportivi: ho pagato molto, quattro anni di vita
cancellati, con conseguenze familiare e di lavoro. Confido in un
giudizio rapido: abbiamo rinunciato ai testi per arrivare prima
possibile ad un giudizio».
Le trascrizioni di altre 187 telefonate
Ecco le nuove trascrizioni
richieste da accusa e difesa e trascritte da un perito nominato
dal tribunale di Napoli. Si tratta di telefonate già registrate
all'epoca, ma mai trascritte. Riguardano le utenze sotto
controllo dei seguenti soggetti, che in quei tempi ricoprivano
le cariche: Luciano Moggi, d.g. della Juventus; Paolo Bergamo e
Pierluigi Pairetto, designatori degli arbitri di serie A e B;
Tullio Lanese, presidente Aia; Gennaro Mazzei, designatore
assistenti serie A e B; Innocenzo Mazzini, vice presidente
federcalcio; Francesco Ghirelli, segretario generale
federcalcio, Massimo De Santis, arbitro internazionale.
Come appreso oggi dal bellissimo scoop di Fulvio
Bianchi, giornalista di ‘La Repubblica’, sarebbero in
arrivo nuove telefonate con protagonista l’ex presidente
dell’Inter all’epoca delle indagini di Calciopoli. “È
stato scoperto che Facchetti aveva due telefonini, uno
intestato all’agenzia di assicurazioni e l’altro
all’Inter. Sul secondo, che deve essere ancora “aperto”,
ci dovrebbero essere le chiamate con Pairetto, Bergamo e
Ghirelli“. Questo il passaggio più
importante.Proviamo a fare un pò di chiarezza, perchè
qualcuno potrebbe interpretarne male il significato.
Come sappiamo, tutte le telefonate intercettate durante
l’indagine penale nei confronti di Moggi & co. (in
realtà sono “contatti”, non necessariamente chiamate: ci
sono anche quelle non andate a buon fine) sono oltre
170.000. Una mole mostruosa, che al solo pensarci viene
paura sì, ma a noi cittadini! (ormai lo diamo per
scontato… fermatevi un attimo e ripetete:
centosettantamilatelefonate! Pagate da noi, signori e
signore… Che almeno vengano utilizzate appieno, e nel
modo corretto!)
Assieme a tutte
queste telefonate, la difesa Moggi – grazie soprattutto al
lavoro dell’ingegnere Roberto Porta, perito informatico – ha
a disposizione un database con tutti i contatti, in entrata
e in uscita, per ogni utenza dei soggetti intercettati. Tra
questi utenti non c’è mai stato Giacinto Facchetti (ed è il
vero motivo per cui chi la chiama Calciopoli è in malafede,
essendo stata solo “Moggiopoli”). E il fatto che sia passato
a miglior vita umanamente dispiace – sul serio -, ma non è
colpa nostra, nè di Luciano Moggi e compagnia, e le sue
telefonate devono essere trattate come quelle di tutti gli
altri (se non altro perchè, in qualità di presidente
dell’Inter, la rappresentava anche legalmente in ogni suo
gesto, sia buono che “cattivo”).
Tra gli intercettati
c’erano gli indagati di Moggiopoli: Bergamo, Pairetto,
Ghirelli, Moggi (ovviamente), De Santis, ecc. Ed è qui che
entra in gioco l’altro perito, Nicola Penta, colui che
materialmente ascolta le telefonate intercettate, alla
ricerca di prove (e ancora ne mancano 70.000 e passa). Cosa
si è fatto, finora? Non potendo ascoltare in tempi brevi
tutte le telefonate una ad una, si sono selezionate quelle
risultanti dall’incrocio dell’utenza intercettata con – in
entrata o in uscita – un’utenza immessa nel database.
Esempio, così è più facile. Per ascoltare tutte le
telefonate di Paolo Bergamo con.. chessò.. Giacinto
Facchetti, si è fatta una ricerca telematica inserendo il
numero del
cellulare di Facchetti e vedendo se ci fossero chiamate
da o per il telefono di Bergamo. Ovviamente l’abbiamo fatta
semplice, per capirci (ma Penta sa bene quanto lavoro ci sia
dietro…).
Quello che Bianchi
incredibilmente ci racconta è che, finora, le telefonate
emerse pare siano quelle provenienti dal cellulare “privato”
(aziendale, ma non sportivo) dell’ex presidente nerazzurro.
Pare però – almeno questo hanno scoperto i difensori di
Moggi – che ve ne fosse un altro, di cellulare. Addirittura
intestato all’Inter. E che quindi presumibilmente Facchetti
usasse con più frequenza per scopi “sportivi” (non usiamo la
parola “illeciti”, che siamo garantisti con tutti, e ci
mancherebbe altro). Quello che in queste ore si sta facendo
è infatti incrociare le utenze di Pairetto, Bergamo e
Ghirelli, fra gli altri, con il numero del cellulare
“interista” scoperto. Il risultato? Nessuno ancora lo sa. Ma
di sicuro a Milano qualcuno non dormirà tranquillo, dopo
questa notizia.
Intercettazione inedita!
Facchetti, Lanese e il banchiere
Correva l’anno 2005. Che bisogno aveva il Presidente degli
arbitri, Tullio Lanese, di instaurare “rapporti ad alto
livello” con
un importante banchiere già coinvolto nell'inchiesta per il
crac Cirio e antagonista di Fiorani al vertice della
Banca Popolare di Lodi? E perché Giacinto Facchetti si
presta a fare da intermediario fino al punto da caldeggiarne
l'utilizzo? E qual è la natura dei rapporti tra il
Presidente degli arbitri e il Presidente dell’Inter se gli
argomenti di conversazione, oltre la politica del calcio,
derogano negli affari, evidentemente privati, dei due
personaggi?
E’ un esercizio facile, ma vale la pena farlo: nella
trascrizione che segue provate a sostituire il nome di
Facchetti con quello di Moggi, e il nome di Lanese con
quello di Bergamo o Pairetto; il risultato dovrebbe essere
intuibile e scatenerebbe le redazioni dei giornali con
titoloni a nove colonne: PROCESSATELI!.
E invece se tutto va bene, visto che la telefonata coinvolge
l'allora Presidente dell'Inter, vedrete che il coro sarà
unanime e i soliti menestrelli si affretteranno a spiegare
che in fondo era solo un piccolo piacere, una segnalazione
tra amici.
E lo faranno gli stessi che nel 2006, ravanando nel torbido,
avevano stigmatizzato, considerandolo prova di illecito,
l’intervento di Luciano Moggi sul concessionario
Maserati per cercare di abbreviare i tempi di consegna di
una fiammante fuoriserie per un amico di Pairetto.
Autovettura regolarmente pagata e fatturata, aggiungiamo
noi.
Eppure nel 2006 i favori personali e le raccomandazioni
furono uno dei cavalli di battaglia della stampa forcaiola.
A Moggi furono rinfacciati
i suoi rapporti con amici di vecchia data quali
magistrati, generali, politici e anche qualche banchiere. A
tutti Moggi prometteva e regalava favori, biglietti e
gadgets. E questi contatti furono portati a testimonianza
del potere dell’uomo che tutto poteva condizionare, nel
calcio e fuori dal calcio. Ecco allora che è urgente capire
perché Facchetti fosse interessato a fare bella figura con
Lanese, fino al punto di chiamarlo apposta, il giorno dopo
averlo incontrato di persona, per ricordargli che il suo
amico banchiere Ambrogio sarebbe stato a sua disposizione
per “rapporti ad alto livello.” Di sicuro, come vedremo più
avanti, quello tra Facchetti e Lanese era un rapporto ad
altissimo livello, se è vero, come è vero, che in un’altra
intercettazione il Presidente degli arbitri rassicura
Giacinto: “Appena finisco la riunione in cui parliamo di
arbitri ti chiamo e ti racconto di quello che si è
discusso”:
Facchetti chiama Lanese, 10
febbraio 2005.
Lanese: Pronto? Facchetti: Sì, Tulliooo... sono
Giacinto. Lanese: Ciao, ciao Giacinto. Facchetti: Senti, no, poi ieri mi son
dimenticato di dirti, siccome io vedo spesso
quell'Ambrogio Sfondrini, sai come... Lanese: Sì, sì, ma ora cominciamo, sì,
sì, in commissione ora incominciamo a... Facchetti: No, guard... sappi che.. Lanese: No, no, non me lo dimentico, ma
io non me lo dimentico, tranquillo. Facchetti: Sappi che è una persona che
puoi utilizzarla veramente ad alti livelli, perché lui è
stato Direttore Generale della Popolare di Lodi. Lanese: Sì, sì, della Popolare, lo so,
lo so, stai tranquillo che non mi son dimenticato. Facchetti: Eh, va bene, volevo
ricordartelo. Lanese: Tranquillo. Facchetti: Va bene... Lanese: Ok. Facchetti: Ok, ciao Tullio, ciao, ciao,
ciao.
Venerdì 27
Agosto 2010 01:01
Calciopoli due anni dopo - Gigi Moncalvo
Parte 1
Parte 2
La Juve darà le telefonate già trascritte
alla Figc
Il presidente Agnelli: «Se sarà dimostrata la correttezza della
società chiederemo gli scudetti indietro». Intanto il club
bianconero sta meditando di depositare in Federazione un
documento con i testi (probabilmente sbobinati da un perito)
delle intercettazioni più significative. E ne spunta un’altra in
cui Facchetti raccomanda un amico a Lanese
TORINO, 28 agosto - La Federazione non riesce a farsi dare le
telefonate dal Tribunale di Napoli? La Juventus è pronta ad
andare in soccorso del procuratore Stefano Palazzi, fornendogli
una compilation di intercettazioni già sbobinate e pronte
all’uso. Si tratta di una serie di intercettazioni, molte delle
quali già rese pubbliche dai media a partire da aprile, che
fanno parte del corpus di 171.000 raccolte durante le indagini
del 2004/05, ma mai prese in considerazione sia in sede di
Giustizia sportiva che penale. Le telefonate sono state, come è
noto,“scoperte” dai legali di Luciano Moggi e hanno gettato
nuova luce sulle vicende di Calciopoli, dimostrando che non
erano solo i dirigenti juventini ad avere contatti con i
designatori arbitrali e con gli arbitri stessi. Le cosiddette
“nuove intercettazioni” hanno spinto la Federazione ad aprire
un fascicolo. L’ha fatto Palazzi, richiedendo alla procura di
Napoli il corpus integrale delle intercettazioni. La richiesta,
però, non ha ancora avuto seguito per problemi burocratici. E,
così, l’indagine non è ancora partita.
LA MOSSA - Ecco perché alla Juventus stanno meditando di
depositare in Federazione un documento con i testi
(probabilmente sbobinati da un perito) delle intercettazioni
più significative. Una mossa a effetto che, dopo l’esposto di
maggio per chiedere la revocazione dello scudetto interista del
2006, tende a stimolare le indagini di Palazzi. Magari su
telefonate come quella del 10 febbraio 2005 ed emersa nelle
ultime ore, nella quale Giacinto Facchetti chiama Tullio
Lanese, presidente degli arbitri e gli raccomanda un amico
(Ambrogio Sfondrini) per un ruolo «ad alto livello» in
seno all’Aia. Dice l’allora presidente dell’Inter: «Senti,
no, poi ieri mi son dimenticato di dirti, siccome io vedo
spesso quell’Ambrogio Sfondrini, sai come...». Lanese:
«Sì, sì, ma ora cominciamo, sì, sì, in commissione ora
incominciamo a...». Facchetti: «No, guarda... sappi
che...». Lanese: «No, no, non me lo dimentico, ma io no
me lo dimentico, tranquillo». Facchetti: «Sappi che è una
persona che puoi utilizzarla veramente ad alti livelli, perché
lui è stato Direttore Generale della Popolare di Lodi. Eh, va
bene, volevo ricordartelo». Lanese: «Tranquillo».
L'INTERVISTA - Il presidente Agnelli ha chiarito il
pensiero della Juve, in un'intervista a Sky Sport: «L’esposto
che abbiamo presentato è molto dettagliato e a nostro giudizio
fondato. Quindi non chiede parità di trattamento ma è un esposto
molto preciso sulla revoca di uno scudetto. Da questo punto di
vista noi ci aspettiamo, poichè crediamo che sia fondato, una
risposta sicuramente entro breve, in breve tempo, e siamo
fiduciosi, vista la motivazione che abbiamo portato avanti, di
avere un risultato positivo». Dunque punta a riavere i due
scudetti o uno dei due scudetti? «Diciamo che questa è una
storia un po’ più complessa, un po’ più complicata. Dovremmo
valutare i vari aspetti ma se giuridicamente sarà dimostrata la
correttezza della società nei vari procedimenti che sono ancora
aperti, sicuramente valuteremo l’azione revocatoria e la
riassegnazione dei titoli».
Guido Vaciago
Moggi, Juventus, arbitri: spiati già dal 2002
TORINO, 6 giugno - Spiati dal 2002. La Juventus, Luciano Moggi
e una serie di arbitri (fra cui De Santis) venivano tenuto sotto
controllo dalla security della Telecom. Lo ha rivelato Giuliano
Tavaroli, ex responsabile della security Telecom, in
un’intervista a la Repubblica pubblicata ieri. La famigerata
“Operazione Ladroni”, com’era stata battezzata in codice
l’indagine privata condotta dagli 007 di Tavaroli sul mondo del
calcio, era insomma iniziata anche prima di quanto si sapesse
finora. «La pratica ladroni riguarda le indagini sui rapporti
fra la Juventus e gli arbitri. Risale al 2002, quando un arbitro
bergamasco ( Nucini, ndr) e amico di Giacinto Facchetti un giorno
scoppia e racconta i retroscena di quella che diventerà
Calciopoli. All’Inter vanno in fibrillazione e così Tronchetti
Provera consiglia a Moratti di chiamarmi». Così Tavaroli parla a
la Repubblica, stabilendo una data d’inizio all’indagine, per altro
già nota. Nella lunga intervista, Tavaroli usa toni molto duri nei
confronti del suo ex datore di lavoro, che ha sempre negato di
avergli ordinato indagini sulla Juventus e sul mondo arbitrale,
lasciando capire che quelle furono iniziative degli uomini della
security. Uomini che Tronchetti ammette solo di aver messo in
contatto con Massimo Moratti e Giacinto Facchetti (dopo che Nucini
aveva allertato l’amico Facchetti sui rapporti fra Moggi e un
nutrito gruppo di arbitri di serie A).
IL PUZZLE - Un altro tassello sulla genesi di calciopoli
trova, insomma, una collocazione nel complesso mosaico del quale
mancano ancora molte tessere. Quelle che potrebbe mettere lo
stesso Tavaroli, insieme con Emanuele Cipriani, titolare
dell’agenzia investigativa Polis d’Istinto alla quale Tavaroli si
appoggiava: entrambi, infatti, saranno sentiti come testimoni a
Napoli (probabilmente dopo la pausa estiva), chiamati dalla difesa
di Moggi a spiegare frangenti e particolari delle loro indagini su
Juventus e sull’ex dg. Non bisognerà, quindi, aspettare molto per
conoscere le verità di Tavaroli sul calcio, quelle mai pienamente
esplorate dagli inquirenti del processo Telecom. «Sul calcio mi
è stato chiesto pochissimo», ha spiegato lo stesso Tavaroli
intervenendo a TeleLombardia venerdì sera. Del calcio gli
chiederanno il 18 o il 22 giugno, quando comparirà davanti al
giudice Casoria nell’aula 216 del tribunale di Napoli.
LE DOMANDE - Facile che gli venga chiesto chi e perché aveva
ordinato quelle indagini. Facile che lui risponda che Tronchetti
Provera lo aveva messo in contatto con Moratti e Facchetti
(circostanza, per altro, confermata da tutti i protagonisti della
vicenda). Ma, per esempio, sarà interessante capire quali
informazioni emersero dalle indagini partite, stando a quanto dice
il Tavaroli, dal 2002. Per esempio: la Juventus e Moggi venivano
spiati anche per quello che potremmo definire spionaggio
industriale? In questo senso è interessante rileggere quanto
detto in aula (processo Telecom) da Fabio Ghioni, responsabile
tecnico della sicurezza Telecom e, quindi, stretto collaboratore di
Tavaroli. Ghioni parla di «competizione industriale» riferendosi
alle acquisizioni di tabulati inerenti al mondo del calcio: «Una
squadra di calcio era un’azienda e faceva parte del Gruppo. Quindi,
qualunque informazione la security poteva trarre su persone
esterne all’azienda aveva quella valenza ». Un ragionamento
che in qualche modo riecheggia in certe spiegazioni Moggi. L’ex dg
bianconero ha sempre sostenuto di essere vittima di una sorta di
“spionaggio industriale” da parte delle dirette concorrenti, le
quali - sempre secondo Moggi - riuscivano ad avere informazioni
sulle sue operazioni di mercato, rendendole più difficili o
soffiandogli i giocatori all’ultimo momento. In questo senso vale la
pena ricordare che fra le utenze telefoniche di cui la security
Telecom acquisisce i tabulati ci sono quelle della Gea World e della
Football Management, due grandi società di procuratori di cui faceva
parte il figlio di Luciano Moggi, Alessandro. LA TESI D’altra
parte, Moggi ha sempre sostenuto che l’utilizzo delle “inintercettabili”
schede svizzere, secondo l’accusa la prova più concreta
dell’esistenza di una cupola sotto controllo dello stesso Moggi,
era dovuto proprio al timore di essere “spiato” e dall’esigenza di
poter condurre le sue trattative di mercato al sicuro da orecchie
indiscrete e non per tenere contatti con gli arbitri e i
designatori, come sostiene invece l’accusa. A questo punto avere
dei particolari in più su quelle indagini condotte dalla security
Telecom a partire dal 2002 potrebbe essere importante per chiarire
questo aspetto cruciale sia per la difesa sia per l’accusa di
Moggi.
Guido Vaciago
Dossier illegali, parla Tavaroli "Io e Tronchetti, ecco la
verità" (05
giugno 2010)
L'ex capo della security: "Il presidente Telecom sapeva tutto. Su
suo ordine ho protetto Montezemolo e indagato su Afef, Moggi e De
Benedetti.
E' un codardo, non si è assunto le responsabilità per ciò
che chiedeva"
MILANO - Un Giuliano Tavaroli un po'
appesantito, ma muscoloso, con l'occhio limpido e la voce ferma,
rompe il silenzio dopo il patteggiamento a quattro anni e due
mesi: "Sì, ho letto ovviamente i nuovi verbali di Tronchetti
Provera". Scuote la testa: "E l'ho anche visto in tv in
un'intervista sdraiata di Fabio Fazio, a prendere le distanze da
me, a dire che quasi manco mi conosceva".
Ma, scusi, Tavaroli, si è sentito offeso? "A livello personale non m'importa, qua c'è un'offesa
professionale. E posso consentire ai giornalisti e ai magistrati
di scherzare, al mio datore di lavoro no. Tronchetti sa bene che
mentre lavoravo per lui ho fatto conferenze alla Nato, e anche
in decine di università, perché la nostra Security aziendale era
un modello. Adesso, tentano di farci passare, attraverso i loro
avvocati, come un'accozzaglia di manigoldi. E lui? Fa finta di
niente".
Ma lei e il dottore che rapporti avevate? "Lui sembra voler interpretare il ruolo del gran
signore che ha avuto un maggiordomo un po' infingardo, faccia
pure, Tronchetti. Perché in effetti mi sono occupato anche di
questioni personali e familiari... "
E cioè? "Bah, gli esempi sono tanti. Un Natale mi chiama perché
le figlie, di ritorno da Saint Moritz, sono state controllate e
fermate in frontiera, e io a mia volta chiamo e corro. A Pasqua,
un'altra emergenza. Bisognava aiutare il figlio di un amico, un
ragazzo con seri problemi, che doveva finire in comunità, ma
andava in giro. Tronchetti e il padre avevano paura che potesse
commettere delle stupidaggini, eccoci qua, siamo noi che ci
attiviamo per farlo sorvegliare ventiquattr'ore su 24, meglio di
una mamma. Cose normali, sacrosante, per carità, ma...
Ma nell'udienza preliminare, il dottore sostiene che vi
vedevate poco, lo stretto indispensabile.
"Non ci vedevamo certo tutti i giorni, ma certo che ci
sentivamo e, quando serviva, viaggiavamo anche insieme. E nei
casi di emergenza era Tronchetti, o la sua segretaria personale,
che mi chiamavano. Bastava chiedere alla mitica signora
Longaretti come stavano le cose".
Anche con i tabulati telefonici si sarebbe potuto
ricostruire la dinamica dei rapporti. È stato fatto? "Non mi risulta, sarebbe stato davvero utile
analizzarli per dimostrare quanto la Security vivesse "dentro"
l'azienda e per l'azienda lavorava. Come investigatore, mi
chiedo come mai in Procura non siano state passate in rassegna
nemmeno le mie mail, che raccontano giorno per giorno che cosa
fosse, nella realtà e non nella fantasia, la sicurezza di
Pirelli e Telecom, la nostra vera storia. Sin dall'inizio ho
chiesto che fossero esaminati i nostri computer, erano la
cartina di tornasole più chiara".
Anche questo non sarà stato fatto dai sostituti
procuratori... "Esatto, non mi risulta".
Ma si troveranno questi vostri computer che erano stati
sequestrati? "Spero di sì, specie se qualcuno vuole capire".
Ci aiuti a capire lei come funzionava. Per esempio, il
dottore l'ha chiamata per proteggere qualche persona importante
in difficoltà? "Più d'una volta. Mi chiamò per il suo amico Luca
Cordero di Montezemolo, quando dovevano eleggerlo presidente di
Confindustria. Vado da Tronchetti e vedo uscire Cesare Romiti.
Il quale, mi dicono, non voleva che Montezemolo si presentasse,
e parlava di un verbale giudiziario degli anni Ottanta, una
vecchia inchiesta di Torino".
Lei è sicuro di quello che sta dicendo? "Per appurare la questione, mi muovo con il mio
collaboratore Sasinini, operiamo sul pm di Biella o di Asti,
comunque un magistrato vicino al procuratore Giancarlo Caselli.
Sasinini chiama il pm e organizziamo a casa di Tronchetti un
pranzo con Caselli".
C'è stato questo pranzo? "Che c'è stato è sicuro, ma io non ho partecipato".
Risulta un'indagine vostra sull'ingegner Carlo De
Benedetti. È sempre Tronchetti a ordinarle il report sulle
utenze, soprattutto elettriche, delle case dell'ingegnere, per
sapere quanto tempo passa all'estero? "Eh, si sa che in vari momenti tra i due non correva
buon sangue".
È proprio vero che stavate aiutando l'Inter di Moratti
contro Luciano Moggi? "La pratica Ladroni, come la chiamavamo noi, riguarda
le indagini sui rapporti tra la Juventus e gli arbitri. Volete
sapere a quando risale? Al 2002... Succede che un arbitro
bergamasco, ammiratore e amico di Giacinto Facchetti, anche lui
bergamasco, un giorno scoppia e gli racconta i retroscena di
quella che sarà Calciopoli. All'Inter vanno in fibrillazione, si
spiegano alcune espulsioni, alcuni rigori assurdi e così
Tronchetti consiglia a Moratti di chiamarmi".
Siete andati dalla magistratura? "Era quello che volevo, ma la situazione è complessa e
do a Moratti l'unico suggerimento possibile, e cioè portare
Facchetti, come fonte confidenziale, dai carabinieri. Può
parlare, resterà anonimo, l'indagine comincerà".
All'Inter che dicono? "Tentennano, preferiscono non esporre Facchetti, forse
hanno paura, io non posso intervenire più di tanto. Moratti mi
dice che ha capito come stanno le cose e ne soffre, è
preoccupatissimo, ma non vuole distruggere il calcio italiano.
Allora che cosa possiamo fare? Si prepara un documento, che
finisce sui tavoli dei sostituti procuratori Francesco Greco e
Ilda Boccassini. E l'arbitro, convocato, va in procura, ma non è
così facile come sembra... Fa scena muta. L'inchiesta Calciopoli
non parte quindi da Milano, com'era possibile, ma partirà
qualche anno dopo, a Napoli".
Davanti al gup Mariolina Panasiti s'è molto parlato dei
dossier sull'ex sindaco di Telecom Rosalba Casiraghi. "In una riunione con Carlo Buora, Tronchetti e Rocco di
Torre Padula si fa il punto su come la stampa parla
dell'azienda. Non bene, ci sentiamo sotto tiro e c'è il sospetto
che sia la Casiraghi a soffiare le informazioni ai giornalisti.
Nasce così la decisione di capire meglio".
Glielo consegnate fisicamente il dossier? "A lui bastava quello che riferivo io. Un solo dossier
legge di sicuro, quello relativo alla cognata, la signora
Soriani, la seconda moglie del fratello, della quale durante
l'interrogatorio davanti alla Panasiti, dice di non ricordarsi
nemmeno il cognome... ".
Lei adesso è uscito dal processo Telecom e ha
patteggiato la condanna per truffa e associazione per
delinquere. Si sente uno sconfitto? "No, e nemmeno un capro espiatorio. Mi sento di avere
pagato i miei debiti e i miei errori, altri non l'hanno fatto.
Io e la mia famiglia sì, e a caro prezzo. Ieri a scuola, mia
figlia, di sette anni, si sente dire da un amichetto: "Tuo papà
ha fatto delle cose brutte". Ma questo è inaccettabile, perché
non ho fatto nulla di brutto, se non proteggere un'azienda, le
sue strutture, i suoi uomini. Sono finito in un'inchiesta che
non è arrivata alla verità e mi sa che il marasma non è ancora
finito, perché comincia il processo per rito ordinario, quello
che vede Emanuele Cipriani, il titolare dell'agenzia di
investigazioni accusata dei dossieraggi illegali, come
principale imputato. Immagino che lui mi chiamerà a testimoniare
in aula, a settembre. E, come testimone, ho l'obbligo di dire la
verità, e non posso nemmeno avvalermi della facoltà di non
rispondere".
Lei, dunque, spera di ricevere finalmente le domande
giuste? Sia il gip Gennari che il gup Panasiti, rimandando gli
atti alla procura, hanno chiesto di indagare di più... "Se lo dicono loro... Io sono stato un maresciallo dei
carabinieri, sezione antiterrorismo, e la mia carriera
successiva nasce dalla strada, non dalle raccomandazioni della
politica. Quando mi sono congedato, sono stato chiamato da un
cacciatore di teste a lavorare per Italtel e quando entro in
Pirelli, il primo aprile del 1996, Cipriani è già lì. Lavorava
sotto il manager Sola. Io, Cipriani e Marco Mancini non siamo
dunque "tre amici al bar" che cercano di creare una combriccola
a danno di Pirelli. Non ho portato via un euro, se molti credono
che taccio perché ho un tesoretto all'estero, sbagliano.
Tronchetti non mi ha coperto d'oro per non parlare e non sono
stato zitto, è stato lo stesso gip Gennari a dire che ho
collaborato. Non ho nulla di più dei miei stipendi. Ho il mio
lavoro, un curriculum di tutto rispetto che hanno provato a
infangare per salvare il presidente".
Il quale si è costituito parte civile contro di lei. "Sì, lui e Afef. Ma siamo seri, che cosa volete che me
ne importasse di indagare sui familiari di Afef? Tronchetti è un
codardo, non ha avuto il coraggio di prendersi le sue
responsabilità sui report che ci chiedeva, ha preferito
offendere la dignità dei professionisti al suo servizio".
Ma lei e Cipriani siete amici o no? "Sono amico di Mancini e ho un rapporto di conoscenza
con Cipriani, punto e basta. Quando stavo in Italtel non mi sono
mai servito dell'agenzia di Cipriani. Lo rincontro a Firenze tra
il 78 e il 79. Lui faceva il funzionario di banca, ma fremeva
per fare l'investigatore. Il suo idolo era Mancini, che lavorava
per i servizi. Cipriani fa domanda per entrare nel Sisde, ma non
ce la fa. Apre allora un'agenzia di investigazioni. Le nostre
frequentazioni sono diverse. Per intenderci, io l'oratorio e gli
scout, lui i figli di papà... ".
Ora siete grandi e, all'apice delle carriere, siete
incappati nella legge. "Già e quando scoppia l'inchiesta, passano sei mesi in
cui non succede nulla. Io lavoro in Romania, poi a gennaio mi
chiama Tronchetti Provera, che preme per riavermi in azienda in
Italia. Facciamo una riunione con il capo del personale Gustavo
Bracco e il capo del legale Francesco Chiappetta e lo stesso
Tronchetti. Pensano di ripristinare, sempre con me a capo, un
servizio più limitato di Security. Sempre a gennaio, c'è un
altro incontro con Tronchetti, ed è presente anche il
funzionario Valente. Il presidente si mostra preoccupato perché,
mi dice, Cipriani ha consegnato alla Procura la password del
dvd, e cioè la chiave del "forziere" che conteneva tutti i
dossier della Polis d'Istinto. E là esistono anche due o tre
pratiche che fanno paura a Tronchetti Provera, e lui stesso mi
cita alcuni file sui politici, Fassino e D'Alema, che sono
citati in Oak Fund, e Aldo Brancher".
E che cosa pensate di fare? "Le ipotesi sono tante, ma in realtà l'azienda si
paralizza. Si muove solo dopo la procura, e quando sa di non
poter agire diversamente. E a me cambiano le carte sul tavolo. A
giugno 2006 vengo licenziato, mi buttano a mare, prendono le
distanze. Da gennaio a settembre 2006 mi cucinano e a settembre
vado in galera. Un anno, di cui otto mesi e 13 giorni in
isolamento. Del resto Tronchetti Provera conosce bene il metodo
per far fuori qualcuno, quando arriva in Pirelli mandato da
Mediobanca. Riesce a dare l'ultima spallata a Leopoldo Pirelli,
ai tempi di Tangentopoli, quando lui e i manager vanno in
procura. Indicativo sarà il discorso che Alberto Pirelli fa alla
commemorazione del padre".
Ma, secondo lei, l'inchiesta milanese ha mai puntato a
Tronchetti? "Forse all'inizio, ma non so... Tronchetti mese dopo
mese contava sempre di meno sullo scacchiere degli affari. Anzi,
mentre Tronchetti tratta l'uscita di scena con il banchiere
Giovanni Bazoli e la vendita di Telecom è ormai considerata cosa
fatta, l'inchiesta finisce, puf".
Ma Tronchetti perché avrebbe avuto bisogno di lei per
contattare chicchessia? "Sì, so che dice così, ma è falso. Ovvio che poteva
avere contatti con chiunque, ma è anche vero che c'era gente
come D'Alema e Tremonti che non ci tenevano a vederlo".
E lei che cosa fa? "Sono io che gli ho fatto fare la pace con D'Alema, per
il tramite di Lucia Annunziata, e lo stesso con Tremonti,
attraverso l'ex ufficiale della finanza Marco Milanese, che io
conoscevo e che lavora con lui, ora è onorevole. Tronchetti
confonde i contatti formali con quelli sostanziali. Per quelli
formali c'era Perissich e Rocco di Torre Padula. Per gli altri,
serviva il fido Tavaroli, ora rinnegato".
Lei dà del falso a Tronchetti, che invece fa l'anima
bella, perché ha mentito in altre occasioni? "Per esempio quando dice che le indagini su Oak Fund
sono del 2005, invece sono nate nel 2001, dopo l'acquisto di
Telecom dalla cordata di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno.
Voleva sapere a chi erano andati parte dei soldi versati per
l'acquisto di Telecom. Si pensava a una parte politica, la
sinistra, a cui Tronchetti dava fastidio".
Fastidio? "Sì, era entrato con i piedi nel piatto in Telecom,
appetito da tanti. Voleva fare l'imprenditore indipendente e
questo può comportare dei rischi. Ora infatti è sceso a patti
con la politica, è nei ranghi, è diventato manovrabile come
tanti, tanti altri. Forse è quello che volevano, farlo tornare a
più miti consigli. Era una minaccia al potere, non era il
potere. Ma di mezzo ci sono finito io, con la mia famiglia".
(05
giugno 2010)
Calciopoli, smontati i sorteggi truccati
Ieri in udienza a Napoli, hanno parlato i testimoni di
Pairetto. Il notaio e un giornalista spesso presente a
Coverciano: «Mai notate anomalie».
Gli arbitri Farina e Trentalange negano pressioni per favorire
la Juve: «Non ci istruiva nessuno»
NAPOLI, 2 giugno - Bastava chiedere, in fondo. Chiedere ai
notai dei sorteggi attesi come taroccati, chiedergli notizie e
certificazioni anche postume della presa delle palline da parte
di 38 giornalisti 38, chiedere come facessero i prestidigitatori
Bergamoe Pairetto a darla a bere a tutti a via Tevere e
Coverciano. Bastava chiedere alla Lega Calcio il documento
prodotto ieri in udienza da Massimo De Santis: mica il quarto
segreto di Fatima, una circolare del 5 agosto 2004, alba dei
giorni di Calciopoli, in cui si dettava il vademecum del
perfetto rapporto arbitrodirigente e i limiti e le
caratteristiche dei mitici “addetti agli arbitri”. E invece
abbiamo dovuto attendere oltre quattro anni per farci un’idea
magari diversa da quella delle informative dei carabinieri.
Ebbene, il giorno è però arrivato: ieri udienza a Napoli parla
il notaio Ioli, seguiranno una teoria di arbitri e assistenti
ora quasi tutti dirigenti apicali dell’Aia ma allora sui campi
da protagonisti nella stagione dei veleni: manca Collina, per
l’8 giugno dovrà produrre convincente motivazione o
presentarsi.
ATTO NOTARILE - Parte il giornalista Pesciaroli, grande
esperto di statistiche arbitrali. «Ho preso parte a quasi
tutti i sorteggi avvenuti all’Aia e qualcuno avvenuto a Firenze:
speravo, una volta almeno, di portare a casa lo scoop di un
sorteggio truccato. E invece niente: non ce n’erano motivi, la
presenza del notaio lì vicino mi tranquillizzava. Non ho mai
avuto sospetti, se avessi visto qualcosa di irregolare l’avrei
scritta sul Corriere dello Sport. Le griglie? Era statistica,
qualche volta ci azzeccavo, altre no. Come mi attivavo per
capire se c’erano trucchi? Guardavo tutto con attenzione, ero
lì. E pur avendo fatto anche l’estrazione di anomalie, non ho
registrato al tatto alcuna anomalia nelle palline. Quando si
aprivano, venivano richiuse e rimescolate». Passa e chiude,
testimone al notaio Antonio Ioli. «I verbali da me redatti
sono agli atti, quando la pallina e sarà capitato qualche volta
nelle centinaia di estrazioni si apriva, provvedevo a farla
richiudere: non era possibile leggere il foglietto all’interno
perché ripiegato in quattro (da Manfredi Martino, ndr): il nome
di arbitro o partita non si poteva leggere. Io non ho mai avuto
sospetti di irregolarità di quelle estrazioni che io
certificavo: non avevo bisogno di refertare sulla qualità
delle palline, ero nel controllo della situazione».
Narducci chiede se non avesse sentito il dovere di chiedere alla
Figc palline nuove. «Dottore, mi parli del contenuto dei
miei atti: io non consideravo anomale queste circostanze. Mai
avuto il sentore di anomalie nella procedura».
FISCHIETTI E BANDIERE - Tocca a Trentalange: «Pairetto e
Bergamo, che pure non mi trattava benissimo, non mi hanno mai
chiesto favoritismi o fatto pressioni. Conosco da una vita anche
il padre di Pierluigi Pairetto, Antonio che era un amico di
Moggi di antica data. Se sono mai stato fermato? E’ toccato
anche a me: 4 mesi senza serie A per aver espulso Capello. Ma
allora allenava la Roma» Poi la giudice a latere Pandolfi
ricorda la deposizione dell’ex dipendente Juve, Capobianco.
«Ha avuto un’auto da Giraudo?» «Giraudo? No, ho comprato
un’auto dalla Fiat con lo sconto che si faceva, non ricordo che
auto, era nel 1995». Alvaro Moretti
Ravezzani "ci fu un complotto ai danni della Juventus"
Calciopoli 2, Aigner: “Noi non abbiamo deciso
di dare il titolo all’Inter” 15/04/2010
Le intercettazioni proposte dai legali di Luciano
Moggi hanno scatenato una nuova indignazione negli sportivi e
sopratutto in chi all’epoca della prima inchiesta si è trovato a
prender decisioni importanti per il futuro del calcio italiano.
Sembra che Palazzi sia a lavoro per trovare un espediente in grado
di evitare la prescrizione e riaprire il fascicolo di indagini.
Ma anche Gerhard Aigner, ex segretario genarale
dell’Uefa e capo della Commissione dei tre saggi che nel 2006
collaborarono con l’allora Commissario straordinario Guido Rossi
nell’assegnazione dello scudetto 2005-06, ci vede qualcosa di poco
chiaro.
Aigner intervistato durante la trasmissione
Qui studio a Voi stadio su Telelombardia, confessa che il nome
dell’Inter non sono stati loro a farlo e in quel clima dove era
difficile definire chi era colpevole da chi non lo era sarebbe stato
meglio non assegnarlo:
“Il nome dell’Inter – ha detto – non ci era
stato proposto. Dovevamo per forza fare una classifica di quel
campionato per via delle Coppe europee, ma non era necessario dare
il titolo a qualche squadra. Per me sembrava normale non
assegnare il titolo in quelle circostanze perché c’erano dubbi sulla
regolarità del campionato”.C’era un malessere generale in
quel campionato, c’erano molte componenti implicate. Non sono
sorpreso da ciò che è uscito in questi giorni. Allora la situazione
in Lega Calcio era molto grave, ma tutti erano responsabili. Gli
arbitri erano troppo esposti alla situazione della Lega Calcio e
sono stati anche vittime. Tutti hanno contribuito a crearla e
trovare chi è stato il più o meno colpevole è difficile”.
Onestopoli.
Il
famoso
“regalo”
di
Moratti
a
Bergamo… 14/04/2010
Un
«regalino»
da
parte
del
presidente
dell’Inter,
Massimo
Moratti,
per
l’ex
designatore
arbitrale
Paolo
Bergamo,
probabilmente
in
virtù
del
periodo
natalizio.
È
la
prima
di
altre
tre
telefonate
trascritte
dai
difensori
di
Luciano
Moggi
di
cui
è
stata
chiesta
proprio
oggi
l’acquisizione
da
parte
del
Tribunale
di
Napoli
dove
si
sta
celebrando
l’udienza
del
processo
a
Calciopoli.
L’intercettazione
è
del
23
dicembre
2004
e
Bergamo
chiama
l’ex
dirigente
nerazzurro
Giacinto
Facchetti.
Facchetti:
Se
tu
chiami
Moratti…
son
stato
là
anche
ieri
da
lui
…abbiamo
parlato. Bergamo:
Io
non
ho
più
il
suo
numero,
se
tu
me
lo
dai…
infatti
ricordi…
ne
avevamo
parlato. Facchetti:
Sì
dai
perchè
voleva…se
passi
di
qui
un
giorno… Bergamo:
Ma
dov’è
è
a
Forte? Facchetti:
In
ufficio,
no
no
a
Milano
se
ti
capita
di
venire
giù
perchè
aveva
là
un
regalino
da
darti Bergamo:
Volevo
sentirlo
anche
così
anzi
avevo
piacere
anche
di
incontrarlo,
di
incontrarvi,
insomma
per
fare
così
qualche
riflessione
insieme Facchetti:
E
va
bene Bergamo:
È
una
situazione
che
vorrei
proprio
anch’io
aiutarvi
a
raddrizzare…perchè
insomma
la
squadra
non
merita
la
posizione
che
ha… Facchetti:
Sono
stati
dodici
pareggi
incredibili…